Disisterraus

Quando ho iniziato questo percorso di ricerca sul termine “Identità” ho capito subito che sarebbero state tante le sorprese e ho deciso di abbandonarmi all’idea che avrei dovuto affrontare un viaggio interiore a ritroso.

Premetto che non amo la parola “Identità”, forse per l’eccessivo uso che se ne fa per definire qualcosa che corre il rischio d’essere rubata, o forse perchè mi riporta alla mente spesso qualcosa più legato al folklore che alla cultura. Ho idealmente richiamato le potenti Janas, all’inizio senza esserne pienamente consapevole. Man mano che la mia ricerca andava avanti, piano piano prendeva forma un disegno, come se tanti frammenti, messi insieme, rivelassero un disegno nascosto. Le Janas si erano palesate e hanno deciso di guidarmi in un viaggio meraviglioso nel ventre della “Mater Mediterranea”.

Quando ho avuto l’intuizione di voler chiedere agli artisti di farsi ispirare da “topos” per la loro ricerca, ho pensato alle tante suggestioni che potessero scaturire.
"Topos" dal greco τόπος, topos, 'luogo' (plurale τόποι, tópoi)… il “luogo comune”. Sono tantissimi i nostri “luoghi comuni” ho pensato all’archeologia, al cibo, al mare, alla bellezza dei riti ancestrali… non avevo minimamente idea di cosa sarebbe stato da loro scelto, ed in quel momento non avevo idea che mi sarei trovata anche io davanti alla necessità di elaborarne uno. Io sono quella che progetta, quella che guida. Sono quella che sta dietro, mai davanti dove si compie la scena. Ma non sai dove ti possa portare una ricerca se l’affronti con senza opporre resistenze.

Quando mi sono trovata a preparare l’arrivo di Alessandro Carboni, il primo artista residente a New York, tra le altre cose ho voluto occuparmi personalmente di rendere accogliente il suo alloggio e di preparargli la stanza.

È stato proprio in quel momento che improvvisamente e inaspettatamente le Janas si sono rivelate.

Mi sono sentita accompagnare in quei gesti acquisiti durante la mia infanzia, mentre preparavo il letto con le lenzuola pulite, le coperte profumate, mentre sotto i miei piedi il legno scricchiolava e i profumi di elicriso e di erbe officinali presi a Su Gologone questa estate innondavano l’ambiente.

Quella cura dell’ospite che sarebbe arrivato da li a poco mi ha riconnesso con un flash back intriso di suoni, luci, colori e profumi con la mia cultura, con la mia educazione, con i miei antenati, e con il ruolo matriarcale della mia Terra.

Una sensazione singolare e strana, non era sicuramente la prima volta che preparavo una camera per gli ospiti.

Quando Alessandro Carboni è arrivato a New York, la prima cosa che ha fatto è stata togliere dalla valigia “pani ‘e saba” (un dolce di mosto d’uva, e frutta secca) fatto con le mani della sua mamma per l’ospite del figlio.

Il rito era compiuto. Le Janas erano felici e avevano iniziato a sussurrare alle mie orecchie qualcosa che dopo qualche giorno avrei capito.

È successo parlando con un altro artista sardo che vive a New York e che si chiama Luca Spano, che ho conosciuto il giorno dell’Open Studio di Alessandro al Douglas Dunn Studio, ho capito che anche io ho un topos su cui lavorare, una cosa che mi sta a cuore.

L’ho capito quando ho letto con sconcerto che per scaldare il cuore degli emigrati sardi potrebbero essere utili 121 Nuraghi finti costruiti in 121 Circoli di Sardi nel Mondo… Questa notizia mi è arrivata come un tradimento. Ma come è possibile! - mi dico - Cosa c’entrano i Nuraghi posticci con la nostra Identità?

L’ho capito quasi subito dopo questo primo fatto, quando ho visto il bel servizio fotografico firmato da Nicola Nonnis per Vogue Portougal. Alta moda, natura e maschere dei carnevali di Ottana e Mamoiada trasudavano il desiderio di un dialogo che per qualcuno suona blasfemo ma che per molti di noi , emigrati, creativi, e desiderosi di vedere amplificato il potenziale della nostra terra è fondamentale.

Emigrati. Disisterraus. Sradicati. Mai definitivamente, mai abbastanza per dimenticare chi siamo.

La mia ricerca è partita da qui e si apre come un ventaglio alla ricerca di un dialogo con i miei colleghi Disisterraus. Voglio capire cosa facciamo, dove viviamo, come ci confrontiamo nelle nostre nuove case, come viviamo le nostre vite. Chi siamo? Forse siamo i testimoni di quanto “identità” sia un termine per quel qualcosa che noi ci portiamo dentro senza che mai nessuno lo possa rubare, il nostro ingrediente segreto, mai uguale ma simile a tanti, la nostra impronta digitale dell’anima.

valeria orani